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Cato Maior de Senectute 5

Quocirca si sapientiam meam admirari soletis (quae utinam digna esset opinione vestra nostroque cognomine!), in hoc sumus sapientes, quod naturam optimam ducem tamquam deum sequimur eique paremus; a qua non veri simile est, cum ceterae partes aetatis bene descriptae sint, extremum actum tamquam ab inerti poeta esse neglectum. Sed tamen necesse fuit esse aliquid extremum et, tamquam in arborum bacis terraeque fructibus maturitate tempestiva quasi vietum et caducum, quod ferundum est molliter sapienti. Quid est enim aliud Gigantum modo bellare cum dis nisi naturae repugnare?

1 commento:

  1. M. Battaglia06 dicembre, 2010

    Se mai voi mi tenete in conto di uomo giudizioso, e Dio volesse che io fossi degno della vostra stima e del nome che porto[1], credete a me che ogni mia scienza è riposta a meditare ed ubbidire, quasi a Divinità, una eccellente guida, la natura. Ogni periodo della vita, essendo da essa distribuito con tanto senno, non è a supporsi che, simile a poeta dappoco, abbia studiato con minor diligenza l’ultimo atto della vita.
    Ma siccome cosa fatta capo ha, nella stessa guisa che al chiudersi dell’autunno, le spiche e i baccelli resi maturi dalla stagione cadono al suolo dagli incurvati rami, giunto l’uomo al tramonto della vita, le sue forze si logorano ed affievoliscono. Ultima necessità, che il savio accetta senza ribellarsi: poiché invertere le leggi di natura, non è forse sull’esempio de’ Titani, porsi in lotta con Dio?

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