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Cato Maior de Senectute 13

Quorsus igitur haec tam multa de Maximo? Quia profecto videtis nefas esse dictu miseram fuisse talem senectutem. Nec tamen omnes possunt esse Scipiones aut Maximi, ut urbium expugnationes, ut pedestres navalesve pugnas, ut bella a se gesta, ut triumphos recordentur. Est etiam quiete et pure atque eleganter actae aetatis placida ac lenis senectus, qualem accepimus Platonis, qui uno et octogesimo anno scribens est mortuus, qualem Isocratis, qui eum librum, qui Panathenaicus inscribitur, quarto et nonagesimo anno scripsisse se dicit, vixitque quinquennium postea; cuius magister Leontinus Gorgias centum et septem complevit annos neque umquam in suo studio atque opere cessavit. Qui, cum ex eo quaereretur, cur tam diu vellet esse in vita, 'Nihil habeo,' inquit, 'quod accusem senectutem.' Praeclarum responsum et docto homine dignum.

1 commento:

  1. M. Battaglia06 dicembre, 2010

    Assai cose dissi di Massimo e più che basti a convincervi che non avvi motivo di chiamare disagevole una vecchiezza pari alla sua.
    Ma non tutti però ponno essere Scipioni, o Fabi per godersi nelle rimembranze di espugnate città, di battaglie campali o di mare - e di guerre condotte e riportati trionfi. Tranquilla e piacevole trascorre del pari la vecchiezza in seno alle gentili abitudini d’una vita placida e pura. Così narrasi di Platone che giunto all’ottantesimo anno si spegnesse scrivendo; di Isocrate che grave di novantaquattro, componeva il suo libro del Panatenaico, vivendo poscia altri cinque anni. Fu suo maestro Gorgia Leontino che varcò il centosettesimo anno, senza mai distogliersi dagli intrapresi studi, né abbandonare le consuete faccende. Richiesto un giorno, come mai sapesse reggersi in così lunga vita " perché, rispose, la vecchiezza non mi dà finora motivo di essere malcontento". Sublime risposta, degna di così valentuomo.

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